venerdì 9 novembre 2007

Traffico a Roma

Stazione di Roma, ore 8:10 del mattino. Arrivo di corsa alla stazione perché il treno si sta fermando al binario e se non mi sbrigo lo perdo. Appena passata la porta d’ingresso alla stazione, una marea di persone mi blocca la strada, il treno è fermo, le porte sono aperte, una calca di gente che spinge, urla, litiga, sembra di stare ad una seduta del parlamento, ma cosa succede?

E’ la solita pellicola che, come quasi tutti i giorni, scorre nelle piccole stazioni di Roma. Ci troviamo in una delle tante fermate dei treni che collegano la capitale con le diverse periferie, e sono usati come pendolini da coloro che cercano di andare a lavoro.

Il treno è stracolmo di gente, sono saltate due corse e già dalle tre fermate precedenti è impossibile provare anche solo a salire, il controllore urla come un pazzo che bisogna allontanarsi perché il treno è in ritardo e deve continuare la sua corsa, dice: “Fra due minuti ne passa un altro”.

Passano due, cinque, dieci minuti, del treno nemmeno l’ombra; dopo un quarto d’ora ecco che arriva puntuale la corsa delle 8:30, si aprono le porte scende una o forse due persone ma nessuna riesce a salire, tutto pieno. Ricominciano le urla e gli strattoni, tutti cercano di aggrapparsi alla maniglia in modo da crearsi un piccolo spazio fra la massa, chi è a terra urla di salire sulle scale, anche se sa benissimo che nemmeno una formica riuscirebbe a farsi spazio lì dentro. Non essendo io un gigante, riesco a crearmi un piccolo angolo fra la borsa della signora che mi sta davanti e la porta, passano altri tre minuti ed il treno riparte. Stretti come sardine iniziamo il nostro viaggio, o per meglio dire la nostra Via Crucis, siamo uno addosso all’altro, le borse del vicino infilate nelle costole e quello che ti sta davanti che ti pesta i piedi ogni due secondi alla ricerca di un punto d’appoggio. Mentre siamo fermi ad un semaforo, si sente un rumore forte, una signora è svenuta, certo, non c’è più aria, e quel poco che ci permette di respirare è talmente viziata che davvero ti senti male. La poveretta sta poggiata alla parete, nessuno riesce a prestarle soccorso perchè non c’è neanche lo spazio per muovere le braccia. Dopo un quarto d’ora e altre due fermate nelle quali si ripete la stessa storia, arriviamo alla stazione Tiburtina e qui c’è lo sfollamento totale.

Il treno si svuota e gli esseri umani da bestie tornano persone civili,e riprendono la via verso il lavoro accantonando il loro lato animalesco fino a sera, quando dovranno riprendere la via di casa.

Questa è la triste realtà nella quale centinaia di persone si ritrovano ogni mattina nella città eterna, nella nazione che sta in sciopero per la TAV, nel mondo del progresso e della civiltà virtuale.
Ma se invece di spendere miliardi per le più moderne e funzionali infrastrutture, che verranno realizzate solo quando saranno ormai obsolete, si pensasse ad aggiungere qualche convoglio su queste linee dimenticate? Perché, invece di programmare giornate ecologiche (che possono far piacere solo se hai tempo di andare in centro in bicicletta) non si cerca di agevolare coloro che, sarebbero felici di poter lasciare a casa la macchina, e prendere i mezzi pubblici per andare a lavoro?

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